di Michela Del Priore
Leggo il libro in mezz’ora. Alcune storie mi emozionano, mi fanno piangere. Altre mi fanno riflettere. Altre ancora mi fanno arrabbiare. L’indifferenza mi fa arrabbiare.
Quando ero bambina, dissi ai miei che non volevo più essere portata a Foggia. La vista dei poveri mi faceva soffrire, mi toglieva il sonno.
Perdere la casa è lo stadio finale della povertà. Non so come raccontare cosa penso che sia, una casa.
Una casa è una famiglia, un lavoro, ma pure quattro mura e un tetto che ti permettono di dormire al caldo, in un letto, di conservare una dignità. Una casa è il “contenitore” della vita, ecco.
Una pentola che contiene la pasta, sì.
Quando penso a quelle vite mi viene in mente un grumo di spaghetti caduti a terra, tanto buoni a vedersi nella pentola ma che una volta caduti, nessuno mangerebbe più. Nessuno più nemmeno li raccoglierebbe, proprio come quei sogni e quelle verità e quelle gambe e quelle mani spalmate sull’asfalto, sbattute dentro le pareti di quei vagoni arrugginiti.
Perché nessuno le raccoglie?
Sono troppo sudice quelle storie, aleggiano sole e disperate perdendosi nell’aria più sporca di quella città che non le accoglie.
Vedo gli spaghetti disperdersi sul pavimento.
Li scanso.
Qualcuno li raccoglierà, prima o poi.
Mi commuovo un po’ perché penso che questo libro sia una piccola casa, dove albergano le voci spezzate che nessuno ascolterebbe. In fondo “casa” è il contenitore delle storie, il contenitore delle vite.
Le pagine danno luce a quei volti dimenticati, a quelle esistenze ricucite. A chi è figlio della strada e delle stelle, e non ha paura degli inverni. A chi gode dei tramonti. Di un bicchiere di latte caldo e di qualche biscotto. A chi cede il passo alla natura, a chi ancora crede in un Dio e combatte contro il freddo e la fame, a chi ha la pelle dura ma farebbe carte false per un cappotto.
A chi ha le speranze appese che noi stessi non sappiamo trarre in salvo. Giorno dopo giorno dopo giorno. Eppure viviamo al riparo dal freddo, dalla fame, dalle malattie. Dall’indifferenza. L’indifferenza che uccide.
Penso alle storie raccolte in questa dimora provvisoria fatta di inchiostro e di cellulosa. Chissà non sia il primo passo per una dimora vera, fatta di cemento, di letti, di sogni, di umanità.